I vini piemontesi sono tra i più importanti e rinomati in Italia e nel mondo, tra questi infatti troviamo il Barbera, il Dolcetto, il Nebbiolo e il Moscato, colossi di questa regione, sia per importanza che gusto.
Il Piemonte è una piccola ed elegante capitale europea, di cui è tipica l’immagine di morbide colline langarole avvolte nelle nebbie autunnali, con le vigne colorate di tutte le sfumature del rosso e del giallo, in attesa di raccogliere i grappoli più nobili, quelli del nebbiolo.
Una terra di vini, di grandi vini.
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Cenni storici
In Piemonte il vino si produce da sempre: la viticoltura era probabilmente praticata già nel VI secolo a.C. dalle popolazioni celio-liguri, ma si è diffusa poi sotto la dominazione romana.
Nel medioevo si sono identificate già tutte le zone vinicole più vocate alla produzione del vino. Così, nell’VIII secolo d.C. i canonici del duomo di Casale hanno disboscato l’area e coltivato viti, in particolare di Barbesino, l’attuale Grignolino, diventando per il Monferrato quello che i monaci di Cluny erano per la Borgogna.
La prima citazione del Nebbiolo risale al 1268 e si riferisce a vigne coltivate sulla collina morenica di Rivoli, alle spalle di Torino. Pietro de’ Crescenzi ne parla nel 1330 nei suoi Ruralium Commodorum libri Duodecim, attestandone la diffusione nel Monferrato.
Nel 1787 Thomas Jefferson, futuro presidente degli Stati Uniti, durante un viaggio in Francia e nel nord Italia, del Nebbiolo assaggiato all’hotel d’Angleterre a Torino scrisse:
“Quasi amabile come il morbido Madeira, secco al palato come il Bordeaux e vivace come lo Champagne“.
Solo nel XIX secolo, i grandi rossi piemontesi assunsero i connotati che li hanno resi famosi in tutto il mondo. In primis il Barolo, che nacque grazie al lavoro di Cavour e dei suoi maestri di cantina, al castello di Grinzane. Poi il Barbaresco che alla fine del secolo definì la sua identità grazie a Dominio Cavazza, direttore della scuola enologica di Alba.
La fillossera, la frammentazione contadina, la prima guerra mondiale e la massiccia emigrazione verso le Americhe caratterizzano le difficoltà nella prima metà del XX secolo. Il vino piemontese tuttavia non morì, anzi mosse i primi passi verso la tutela della qualità.
Alla fine del XIX secolo i produttori delle zone storicamente più votate chiesero di delimitare alle principali zone di produzione. Nel 1909 il Comizio Agrario Albese definì il confine di produzione del Barolo.
Negli anni ‘80 ci fu la svolta: una nuova generazione di vignaioli tornò alla terra, decidendo di cambiare stile e tecniche produttive adattandosi anche ai mercati internazionali.
I nuovi vini rossi, molto diversi da quelli della tradizione, hanno avuto grande successo e nelle langhe scoppiò una polemica fra tradizionalisti e innovatori che sostenevano opinioni diverse sull’uso della barrique, ad esempio.
Il Piemonte è una terra di vini rossi leggendari come il Barolo e il Barbaresco, ma anche di bianchi emergenti, spumanti e vini aromatici dolci che hanno fatto la storia dell’enologia nazionale.
Clima e territorio
Il Piemonte presenta un territorio vario e vasto. Le montagne occupano il 43,3% del territorio, la pianura il 26,4% e le colline il 30,3%; sue queste si è sviluppata quasi esclusivamente la viticoltura.
Il clima di questa regione è continentale, con inverni lunghi e freddi, estati calde e siccitose e sensibili escursioni termiche tra il giorno e la notte.
Ma ogni zona ha le proprie peculiarità relative a temperature e precipitazioni: infatti, l’uomo, nei secoli, ha risposto a questa variabilità con specifici metodi di coltivazione e selezione delle uve.
Il risultato è che, nel mondo, sono poche le aree vitivinicole in cui il connubio tra terreno, clima e vitigno assume cosi grande rilevanza nella definizione dei caratteri organolettici dei vini.
In questa regione, nelle Langhe, i terreni sono più compatti, marnosi e presentano gesso e argilla; le escursioni termiche e la piovosità sono meno accentuate e portano a vini con un imponente trama tannica, più complessi e dotati di un’ottimo impatto balsamico.
Nel vicino Roero, dove si trova un clima più secco, i terreni ricchi di basso fondale conferiscono ai vini una maggiore immediatezza olfattiva.
Nel Monferrato, i terreni ricchi di sedimenti marini, donano ai vini particolari note fruttate.
I vitigni e i vini
Il vigneto piemontese si estende su 48.100 ettari, nel 2013 su una produzione di 2.580.000 ettolitri di vino, circa l’81% era costituito da vini DOP.
Questa regione, insieme alla Valle D’Aosta, è l’unica regione che non propone vini IGP.
I vitigni coltivati sono principalmente autoctoni o comunque tradizionali. Tra i primi 20 vitigni coltivali, solo 5 sono varietà internazionali: Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero e Sauvignon Blanc, ma il totale della loro superficie non raggiunge il 5%.
I vini piemontesi sono soprattutto rossi ottenuti da monovitigno che, insieme ai pochissimi rosati, rappresentano oltre il 60% della produzione totale.
La Barbera
Il vitigno a bacca nera più coltivato e diffuso è la Barbera, che da sola rappresenta il 30% del vigneto piemontese.
È un vitigno a maturazione medio tradiva, è vinificato per lo più in purezza, è versatile e consente di ottenere vini molto differenti tra loro, dai tradizionali frizzanti e beverini fino alle versioni più strutturate in grado di garantire ottimi sviluppi nel tempo.
Il Nebbiolo
Il Nebbiolo è una delle uve a bacca nera più importanti del mondo, occupa solo il 10% del vigneto piemontese, ma è la prova che quantità non vuol dire qualità.
Nelle Langhe sono coltivate le tre sottovarietà: Lampia, Michet ed il raro Rosè. Nell’alto Piemonte è coltivato il biotipo Spanna, mentre a nord di Ivrea il vitigno prende il nome di Picotendro.
Le ipotesi sull’origine del nome sono molte, ma la più verosimile lo farebbe derivare dalla nebbia che avvolge il vigneto e crea un’atmosfera affascinante nel periodo della vendemmia.
Il Freisa e altri vitigni
In passato, il Freisa era considerato un vitigno di grande pregio. Nel 1799 Nuvolone ne parlava come di un vitigno di prima qualità, ma la superficie coltivata è in continua diminuzione e si concentra soprattutto nel Chierese e sulle colline ai confini delle provincie di Torino e Asti.
Celebre nel mondo per i suoi vini rossi, il Piemonte possiede tuttavia una significativa varietà di uve autoctone a bacca bianca. Tra queste la più famosa è il Cortese.
Il vitigno a bacca bianca più interessante degli ultimi anni è il Timorasso, una vera rarità strappata dall’oblio a cui sembrava destinato.
Un tempo diffusissimo, era stato sostuito con vitigni più produttivi e redditizi.
Tra i vitigni internazionali,, invece, prevale assolutamente lo Chardonnay, diffuso in tutta la regione e utilizzato con successo nella produzione di vini bianchi fermi.
Il Pinot Nero è coltivato nel Monferrato dall’800. E’ utilizzato per la produzione di importanti spumanti metodo classico sia in purezza sia in assemblaggio con lo Chardonnay.
Le zone vitivinicole
Il Piemonte è una regione in cui si produce vino in quasi tutto il suo territorio, ma per omogeneità si possono distinguere sei macroaree fondamentali: l’area pedemontana tra Saluzzo e Torino, il Monferrato Astigiano, l’Alto Monferrato, il Roero, le Langhe e l’Alto Piemonte.
L’area pedemontana tra Saluzzo e Torino
Alle pendici delle valli alpine che accompagnano il primo corso del Po, la denominazione Colline Saluzzesi prevede soprattutto un rosso a base di Pelaverga, Barbera e Nebbiolo.
Risalendo verso Torino, sulle colline e sulle pendici montane delle valli Pellice, Chisone e Germanasca troviamo due chicche.
La prima è il vino ottenuto dall’autoctono Doux d’Henry, un delicato rosato profumato di lampone.
La seconda è il tradizionale Ramie, rarissimo vino di montagna, con sentori di fiori rossi, decisa freschezza e moderata alcolicità.
Il Monferrato astigiano
Poco più a est è già Monferrato, la più grande area viticola piemontese, che si estende dalla provincia di Asti ai colli casalesi.
Segnato dallo scorrere del Po si possono distinguere due ulteriori macrozone che comprendo 23 denominazioni di origine.
Nell’area più settentrionale si trova il Monferrato casalese.
Casale e le colline verso Alessandria sono la culla della DOCG Barbera del Monferrato superiore e delle DOCG Grignolino del Monferrato casalese e Barbera del Monferrato.
A sud del Tanavo si trova l’altra grande macrozona monferrina.
Poi c’è il Moscato. Si trova lungo il corso del Belbo, dove la Langa da cuneese si fa astigiana, in cui la DOCG Asti o Moscato d’Asti haposto il suo territorio.
L’alto Monferrato
La prima area è l’Acquese, territorio definito come il distretto degli aromatici, perchè in nessuna altra zona d’Italia il peso dei vini dolci aromatici è cosi importante.
Il Roero
Il Roero è una piccola e movimentata regione collinare sulla sinistra orografica del Tanaro, mentre sulla destra si trovano le Langhe.
Nella DOCG Roero il protagonista è il Nebbiolo, che qui coniuga il vigore tannico e il consueto potenziale di longevità
Le Langhe
Attraversato il Tanaro, in direzione di Alba, si entra nel cuore dell’enologia piemontese caratterizzato dalle Langhe.
I suoli calcareo-argillosi di questa zona sono adatti a produrre vini complessi e strutturati.
Il re è il Nebbiolo, ma la sua corte è ampia: Barbera, Dolcetto, Pelaverga e Moscato.
Un territorio imprescindibile per ogni appassionato di vino.
L’Alto Piemonte
L’Alto o nord Piemonte, comprende i colli novaresi, vercellesi e biellesi.
Non molti decenni fa, l’Alto Piemonte consisteva in un vigneto di 40.000 ettari, ma lo sviluppo dell’industria, in particolare quella tessile, ha cambiato il panorama sociale e ambientale e in pochi anni il vigneto si è ridotto a 700 ettari. Eppure si tratta di un territorio molto vocato alla produzione di vino.
Vitigni dolci e aromatici
Non sono solo i vini rossi a rappresentare un’importante peculiarità della regione del Piemonte, ma anche quelli dolci e quelli aromatici ne sono tipici. Sono per lo più utilizzati per la produzione di spumanti metodo Martinotti, che ne mantiene perfettamente la fragranza dei profumi e la vivace freschezza.
Il Moscato bianco, o di Canelli, è il secondo vitigno del Piemonte e occupa circa il 22% della superficie vitata.
La DOCG Asti comprende lo spumante e il Moscato d’Asti, vino dolce lievemente frizzante, di fatto un mosto parzialmente fermentato. E’ il vero motore dell’industria vinicola piemontese e la più grande voce nell’export agricolo regionale.
Il Moscato si produce almeno dal XIV secolo in un’ampia area che comprende Langhe e Monferrato astigiano e alessandrino.
Il Moscato d’Asti è deliziosamente aromatico e dolce, ma dotato di rinfrescante acidità, profuma di salvia, citronella e pesca bianca.
Tradizionale è anche la versione passita, diffusa un po’ in tutto il Monferrato, ma con alcune piccole zone di elezione, nell’acquese, in particolare a Strevi e a Lozzano, nella Langa astigiana.
Sempre intorno ad Acqui si trova il territorio di ordine del Brachetto, vitigno aromatico a bacca nera che si estende anche in un’ampia porzione del Monferrato astigiano.
Molto coltivato fino alla fine del XIX secolo, ha sofferto l’arrivo della fillossera. Negli anni ’70 e ’90 i suoi spumanti dolci hanno ottenuto un buon successo.
Il Dolcetto
Il Dolcetto è il secondo vitigno a bacca nera più diffuso in Piemonte (12%) ed è coltivato da secoli soprattutto nel sud della regione, dove è il protagonista di diverse denominazioni.
Le sue radici affondano in un passato lontano e una prima menzione si ritrova in un’ordinanza vendemmiale del comune di Dogliani del 1593, in cui si parla delle coltivazioni dei Dozzetti.
Nel ‘700 il vitigno era ampiamente diffuso anche nel Monferrato astigiano, da dove raggiunge le zone di Acqui e Ovada, oltre che il Tortonese, in cui è chiamato Nibiò: è un dolcetto dal graspo rosso che nulla ha a che vedere con il Nebbiolo e che con ogni probabilità deriva dalla vicina Liguria, dove, nella zona di Pornassio, se ne trova un simile denominato Ormeasco.
Il Nebbiolo
Vitigno nobile ed esclusivo, il Nebbiolo riflette in modo inconfondibile il suo legame con il territorio.
La sua terra di elezione, dove raggiunge splendidi vertici qualitativi, è la zona delle Langhe, che dà vita a vini potenti ed eleganti, ricchi di estratto e tannini, adatti a lunghi invecchiamenti.
A nord di Alba ci si immerge in un paesaggio di struggente bellezza, dove nei soli quattro comuni di Barbaresco, Neive, Treiso e San Rocco Seno d’Elvio nasce il Barbaresco DOCG, l’altro grande vino da Nebbiolo che rivaleggia con il Barolo, dal quale forse si distingue per un po’ di potenza in meno e un po’ di leggiadria in più.
Almeno da un ventennio, il Barbaresco è uno dei più grandi vini del mondo e da qualche anno il disciplinare di produzione ha introdotto un’importante novità: le menzioni geografiche aggiuntive. Sono microterritori ai quali si può assegnare il nome del singolo vigneto.
Il Barolo
A sud di Alba, in poco più di 1000 ettari di vigne coltivate a Nebbiolo da 1000 vignaioli, due vallate e tre crinali, si estende l’area del Barolo DOCG.
Massima espressione del Nebbiolo, il Barolo è potente, raffinato e profondo, capace di rinnovarsi nel tempo.
Il Barolo libera intensi accenti di viola, spezie liquirizia frutta matura, cuoio, tabacco e minerali, con un’assaggio intenso e sontuoso, segnato da un tannino regale e avvolgente, con una lunga persistenza.
Oltre a Barolo e Barbaresco, il Nebbiolo si esprime molto bene in altre zone piemontesi e sulle colline sabbiose del Roero, che ne esaltano la ricchezza fruttata e una grande finezza.