Le piante officinali sono state, nell’antichità specialmente, un’importantissima risorsa per la cura delle malattie e non solo.
Nella preistoria si faceva uso di queste piante, senza averne però la cognizione degli effetti curativi o nocivi. Gli effetti delle piante erano infatti attribuiti all’opera della divinità: la religiosità esisteva già nel Paleolitico, testimoniata dai rituali effettuati col fine di ricevere cibo in abbondanza.
Di seguito verrà data una scorsa alla storia delle erbe medicinali e poi parleremo nello specifico delle 11 piante officinali da coltivare in casa propria in base anche agli utilizzi che se ne possono fare.
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Un po’ di storia sulle piante officinali
Egitto
Nonostante le piante officinali le usassero già nella preistoria, i primi a citare gli effetti e a ricercare su queste sono stati gli Egizi. Una fonte importante, per definire l’apporto egizio agli studi sulle erbe, è il papiro di Ebers.
Questo scritto lungo 20 metri, risale al regno di Amenhotep I del 1550 a.C. circa. Un esempio di rimedio medico contenuto in questo trattato è il “rimedio per le viscere”: meliloto (detto erba vetturina gialla), datteri, cuocere in olio e ungere la parte malata.
Ovviamente anche il lino era largamente coltivato, non solo per la realizzazione di tessuti e carta, ma anche per usi medici.
Grecia
Intorno al 500 a.C. Ippocrate, che non a caso è considerato il padre della medicina, nel Corpus Hippocraticum, raccolta di 70 opere in greco antico, ha effettuato studi approfonditi sulle erbe e ha iniziato ad attribuire le malattie a cause naturali e non più divine o magiche.
Per ogni malattia, Ippocrate prescriveva rimedi naturali di origine, appunto, vegetale. Credeva inoltre che i benefici delle piante fossero legati ai loro diversi colori: il rosso per i disturbi circolatori, mentre il giallo per reni e fegato e così via.
Roma
Nell’ambito dell’Antica Roma, bisogna ricordare Dioscoride Pedanio con la sua opera De materia medica del 50 d.C. in cui sono custodite 400 miniature e spiegati i benefici di oltre 600 piante curative.
Galeno, del II secolo d.C., ha ripreso la teoria dei 4 umori di Ippocrate: bile nera, bile gialla, flegma, sangue. Questi equivalgono a 4 qualità che sono umido, secco, freddo, caldo.
Il giusto funzionamento dell’organismo si avrebbe solo grazie all’eucrasia (buona mescolanza di umori), ottenuta attraverso il principio dei contraria contrariis per cui gli umori curano i loro umori contrari.
Ad esempio, ad un ammalato di febbre vengono somministrate piante rinfrescanti.
Medioevo
Si deve al persiano Avicenna (980 d.C.), autore de Il Canone, la scoperta della distillazione dell’olio volatile da fiori e erbe.
Un’altra scoperta del mondo arabo è stata sicuramente la spugna soporifera: una spugna imbevuta di oppio, cicuta e giusquiamo che venivano inalati dal paziente attraverso il naso.
Anche sciroppi, elisir e giulebbi venivano spesso preparati grazie alla vasta disponibilità di canna da zucchero e alcool.
XVI secolo
Nel XVI secolo il filosofo svizzero Paracelso (perché sosteneva di perfezionare l’opera di Celso, medico romano) ha bruciato pubblicamente le opere arabe e quelle di Galeno, perché ne contestava le teorie.
È stato il primo a teorizzare che la malattia fosse un riflesso dato dallo squilibrio di tre sostanze chimiche: lo zolfo, il sale e il mercurio.
Per curare le malattie teneva conto della corrisponda di organi, astri, piante e minerali e di seguito creava con formule segrete le quintessenze o gli arcani.
Le piante officinali perenni
Le piante officinali sono davvero tantissime, ma qui parleremo solo di 11 specie, le più comuni e reperibili nei nostri territori.
Angelica selvatica
L’etimologia di questa pianta si fa risalire al greco ángelos (=angelo, messaggero) e al latino sylvestris (=dei boschi). Il nome allude alle qualità curative e medicinali della pianta e anche al suo ambiente naturale, ossia il bosco.
Il fusto di quest’erba può raggiungere i 150-200cm di altezza. Le sue foglie sono grandi con segmenti acuminati e i fiori si presentano bianco-rosati.
Somiglia alla cicuta, per questo è bene fare attenzione prima di raccoglierla.
Cresce tipicamente nei boschi umidi e nelle forre fino a 1600m. Cresce abbondante nei territori del bresciano.
La sua presenza indica la vicinanza di una fonte di acqua.
L’angelica ha un profumo aromatico e un gusto leggermente amaro.
Questa pianta ha qualità stimolanti, digestive, carminative (aiuta a espellere i gas da stomaco e intestino) e espettoranti (aiuta a espellere il catarro).
Esistono alcuni rimedi che si pensa abbiano una funzione curativa contro la psoriasi. Quest’erba è sicuramente alleata di tutti coloro che soffrono di aerofagia, meteorismo, inappetenza e dispepsia.
Attenzione per chi soffre di ulcera allo stomaco e al duodeno.
Per poter coltivare l’Angelica si ha bisogno di un clima fresco e umido, di un terreno umido e ricco di sostanze organiche.
Sarebbe utile preparare anticipatamente del compost da disporre nel vaso o mescolarlo insieme alla terra dell’orto.
I fusti si raccolgono solitamente tra aprile e maggio, i fiori tra agosto e settembre e le radici verso l’autunno.
Bardana (Arctium Lappa)
Il nome scientifico deriva probabilmente dal greco árktos (=orso) che fa allusione all’aspetto ispido e villoso dei fiori.
La bardana è una pianta erbacea biennale. Arriva a raggiungere i 3m di altezza. Le sue foglie sono pubescenti e cordiformi.
Produce fiori di color fucsia, raggruppati in piccoli “grappoli”.
Questa pianta cresce in tutto il territorio italiano, dalle zone di mare a quelle montuose fino a 1700m. È possibile trovarla nei ruderi, tra le siepi e nei margini delle aree boschive.
La Bardana predilige un terreno ben drenato e ricco di sostanze nutritive, gli ambienti luminosi e esposti direttamente ai raggi solari.
La raccolta delle foglie avviene in primavera, prima della fioritura della pianta, mentre la raccolta delle radici si ha invece in autunno, quando sono belle carnose.
Il decotto di Bardana viene preparato per la cura delle malattie della pelle come acne, eczema e anche psoriasi. Ha quindi proprietà antinfiammatorie cutanee, antiseborroiche e antiacneiche.
È utile inoltre per favorire la diuresi e la depurazione dell’organismo.
Chenopodio o Farinello (Chenopodium album)
Il nome deriva dal greco chèn (=oca) e pòdion (da poùs, piede) perché le foglie ricordano la forma delle zampe di un’oca.
Il Chenopodio è una pianta annuale che cresce in tutta la penisola italiana. Viene classificata una pianta “apetala” ossia priva di corolla o perianzio.
Emanano un odore erbaceo poco gradevole e al tatto sono “farinose” (depositi farinosi su gambo e foglie) come suggerisce il nome volgare.
Le foglie sono piccole e di colore verde glauco o verde azzurro.
Si può trovare facilmente negli incolti, nelle colture estive, nei ruderi, ma anche negli orti, nelle rive dei fossi dalla zona di pianura a quella montuosa.
Il Farinello può essere coltivato nelle zone ombreggiate degli orti, a ridosso di muri o recinzioni.
Non ha bisogno di attenzioni particolari, essendo una pianta erbacea perenne e si accontenta nell’acqua piovana e dei nutrimenti provvisti dal terreno.
Il periodo di raccolta avviene solitamente tra i mesi primaverili e estivi di aprile, maggio e giugno.
Questa pianta ha qualità antianemiche, il “pesto” di foglie fresche ha una azione curativa per foruncoli e ascessi. Veniva largamente utilizzata già nell’Età del bronzo in sostituzione a cereali come l’amaranto.
Crescione (Nasturtium officinale)
La derivazione del nome è molto interessante, infatti si pensa che si rifaccia al latino torquere (=torcere) e nasus (=naso), per l’odore aromatico e piccante della pianta se viene stropicciata e annusata.
Il crescione è una pianta erbacea perenne conosciuta nell’antichità come “insalata che guarisce”. È caratterizzato da una crescita rapidissima e un sapore pressoché piccante.
Questa pianta può raggiungere i 60cm di altezza, ramifica verso l’alto, le foglie sono di un colore verde luccicante e sgargiante che diventa più bianco verso il fusto.
I fiori sono piccoli e di color bianco rosato riuniti in un breve racemo (sorta di grappolo).
Cresce nei territori di tutte le nostre regioni, lungo fossi e ruscelli e fino ai 1500m. Il crescione può essere tranquillamente coltivato nel proprio balcone in vaso.
Non ha bisogno di particolari attenzioni per quanto riguarda il terreno, basta che sia ricco di sostanze organiche e bisogna evitare i ristagni di acqua.
È ricco di vitamina C ed è quindi un valido antiscorbutico. Ha proprietà diuretiche, stimolanti ed espettoranti.
Uno studio ha dimostrato che frizionando il succo di crescione insieme a un quantitativo uguale di alcool a 90° sul cuoio capelluto, si possa rallentare o addirittura arrestare la caduta dei capelli.
Melissa vera (Melissa officinalis)
La melissa è una pianta erbacea perenne il cui nome è un’abbreviazione del latino melissophyllum, a sua volta dal greco mélissa (=ape) e fùllon (=foglia): questo perché è una pianta molto ricercata dalle api.
Ha foglie ovate leggermente pelose e fiori bianco gialli o bianco rosei ermafroditi. L’habitat tipico di questa pianta officinale sono gli incolti, i ruderi e le coltivazioni inselvatichite.
Preferisce un substrato calcareo, e comunque terreni tendenti all’umido.
La pianta è molto apprezzata per le qualità aromatiche ed è spesso utilizzata per preparare infusi dissetanti con il gusto di agrumi (da cui il nome volgare di cedronella).
È conosciuta sin dal Medioevo per le sue caratteristiche sedative e antisteriche in grado di curare i disturbi femminili anche legati al ciclo mestruale.
Nella fitoterapia sono utilizzati specialmente gli steli e le foglie della pianta, ma anche i fiori.
Oggi viene utilizzata specialmente per placare gli stati d’ansia, ma anche in patologie dispeptiche essendo un valido spasmolitico.
È inoltre utile nell’azione contro l’emicrania.
Mentuccia comune (Calamintha nèpeta)
Il nome deriva dal greco kalè (=bella) e mìnthe (=menta) per il buon odore che emana e per il suo grazioso aspetto Nepeta deriverebbe probabilmente da un’antica città toscana menzionata da Plinio.
La mentuccia è una pianta erbacea perenne molto aromatica con il fusto lungo fino a 70cm. Le foglie hanno forma ovale, i fiori hanno un calice gozzuto e ispido.
Cresce in tutte le regioni del nostro Paese ed è comune e gregaria in pascoli, prati aridi, vigne, frutteti, incolti, rupi e persino nelle crepe dei muri.
Coltivare la mentuccia è davvero semplice, basterà avere un piccolo spazio nel proprio orto oppure in un vaso e mantenere la pianta in un luogo soleggiato o comunque luminoso. Il terreno ideale è quello calcareo.
Essendo una pianta molto “rustica” non teme gli attacchi dei parassiti e si ammala difficilmente.
La mentuccia ha proprietà digestive, è ricca di fibre e regolarizza l’attività intestinale. Ha proprietà espettoranti: infatti, viene utilizzata contro febbre, raffreddore, congestioni e malattie all’apparato respiratorio.
Gli infusi di mentuccia sono in grado di donare beneficio in caso di flatulenza e problemi di stomaco e fegato.
Salvia
Pare che il nome di questa pianta derivi dal latino salvus (=sano, salvo, sicuro) per le sue proprietà benefiche.
La salvia può essere coltivata in vaso all’interno del proprio giardino, balcone o terrazzo. Non ha bisogno di particolari attenzioni, dal momento che è una pianta perenne ed è quindi resistente per natura.
L’annaffiatura deve avvenire soltanto quando il terreno che ospita la pianta è totalmente asciutto: è da tenere conto, tra l’altro, che la salvia teme i ristagni di acqua.
Per coltivare la salvia, si può iniziare attraverso le talee (rami con germoglio ottenuti attraverso la potatura) di una pianta madre.
Durante il primo anno, la piantina crescerà lentamente e sarà più delicata. Importante è sicuramente proteggere la pianta all’interno di casa o attraverso dei teli appositi per non farla gelare durante l’inverno.
La salvia predilige il caldo ed è fondamentale che riceva i raggi solari per la maggior parte della giornata, anche per enfatizzare il sapore e il profumo.
La salvia è in grado di stimolare l’appetito se assunta prima dei pasti, e migliora la digestione se assunta dopo. Cura le infiammazioni orofaringee attraverso il decotto;
allevia i dolori mestruali, combatte la sudorazione notturna, trattare i problemi di memoria e concentrazione.
Ad uso esterno è utile in caso di ferite (disinfetta), sbianca i denti e rinfresca l’alito.
Sambuco (Sambucus nigra)
Questa pianta spontanea non è facilmente reperibile in vendita. Si può trovare nei vivai più forniti e nei garden center.
L’habitat ideale di questa pianta è sicuramente all’interno di una siepe ornamentale naturalistica, oppure al centro del proprio giardino come esemplare isolato.
E’ una pianta molto resistente sia al caldo che al freddo, ma teme i venti salmastri ed è quindi inadatta alle zone costiere.
Il sambuco predilige il sole pieno, altrimenti rischia di non fiorire al massimo delle sue possibilità. Le specie spontanee di questo arbusto possono resistere al freddo fino a -20°C e al caldo fino a 45°C.
Può essere coltivato in vaso per qualche anno (si parla di massimo 4 anni), poi deve essere imperativamente spostata su un giardino.
Il terreno deve essere innaffiato solo se asciutto e non ha bisogno di particolari cure.
Il sambuco si può coltivare attraverso le talee ottenute tramite la potatura autunnale della pianta madre oppure attraverso i semi.
Le sue foglie e i suoi rami hanno un odore sgradevole, ma è grazie a questo che non teme parassiti particolari.
Di questa pianta si possono utilizzare tutte le parti per diversi scopi: la corteccia (che viene utilizzata in erboristeria), i fiori, i frutti maturi e le foglie. I frutti possono essere essiccati oppure anche congelati.
Bisogna fare attenzione a non confondere il sambuco con l’ebbio (Sambucus ebulus), dal quale si distingue per il fusto.
Il sambuco è spesso utilizzato in fitoterapia per le sue proprietà lassative, diuretiche, antinevralgiche e diafoteriche (che aumentano la secrezione di sudore) utili a combattere malattie che colpiscono l’apparato respiratorio.
Le sue proprietà benefiche sono utili su molti organi come reni, cuore, fegato, stomaco, intestino, vie respiratorie primarie e sistema immunitario.
Silene rigonfia (Silene vulgaris)
Non si conosce bene l’etimologia di questa pianta e ci sono infatti diverse versioni: Silenòs (=essere semidivino per metà uomo e per metà cavallo, col ventre rigonfio, come il calice del fiore);
sialon (=saliva, muco) per la sostanza bianca mucosa presente nel fusto e nel calice del fiore della pianta.
Altri pensano derivi da Selene (=luna) perché emanano il loro profumo simile al chiodo di garofano solo di notte. Vulgaris (=comune).
I fiori sono commestibili e ricordano vagamente gli asparagi. Le foglie si possono consumare come un’insalata croccante e carnosa.
Il silene è appunto una pianta perenne e la si può trovare nei luoghi soleggiati e sui bordi dei sentieri. Si può coltivare serenamente senza preoccuparsene troppo.
Cresce bene in terreni poco fertili e calcarei, necessita di poche annaffiature i semi sono “seminati” spontaneamente dalle piante in estate.
Può essere trattata come ortaggio da taglio; è ricca di sostanze nutritive, come vitamine e sali minerali, ha proprietà emmollienti e diuretiche.
Centocchio comune (Stellaria media)
La stellaria media deve il suo nome alla forma del fiore, che ricorda appunto una stella.
Questa pianta cresce tipicamente nei luoghi semiombrosi e riparati dal vento. Non tollera i raggi solari diretti né il vento. Cresce bene in qualsivoglia tipo di terreno umide, fertile, drenato, ma soprattutto nei terreni alcalini.
E’ importante una costante annaffiatura di questa pianta, in special modo se coltivata in vaso.
L’annaffiatura va effettuata al mattino presto o in tarda serata, facendo attenzione a non bagnare le foglie che sono molto delicate.
Ha bisogno di concimazione azotata per tutto il ciclo di vita, perché tende ad assorbirlo velocemente dal terreno, che ne rimarrà prosciugato.
La stellaria è ricca di vitamine, soprattutto vitamina C e B, contiene inoltre magnesio, potassio e sodio.
Pare abbia caratteristiche antinfiammatorie sia per uso interno che esterno. La sua tintura madre è usata per trattare reumatismi, dolori articolari, per favorire la digestione e il transito intestinale.
E’ inoltre utilizzata per combattere la ritenzione idrica. Utile anche in caso di psoriasi e altri disturbi della pelle, se si riducono le sue foglie in poltiglia.
Rabarbaro (Rheum rhabarbarum)
L’etimologia del rabarbaro è molto interessante: rha (=radice) e bàrbaros (straniero), facendo probabilmemnte riferimento al fatto che questa radice proveniva dai Paesi “barbari” del Mar Nero.
Il rabarbaro è una pianta officinale perenne dai molteplici usi in cucina: si possono realizzare marmellate, torte e molte ricette vegane.
L’unica parte non commestibile del rabarbaro sono le foglie, che contengono una sostanza detta “acido ossalico” che risulta essere tossica per il nostro organismo.
E’ una pianta poliennale, che non deve essere seminata tutti gli anni e produce per gran parte del periodo dell’anno, soprattutto nelle zone a clima mite.
Il rabarbaro non richiede molto a livello di scelta del terreno, ma predilige terreni fertili di sostanza organica e azoto.
Come altre piante orticole, teme i ristagni di acqua, quindi è bene non esagerare con l’annaffiatura.
La specie d’elezione per le sue proprietà medicinali, però, è il rabarbaro cinese, che si coltiva e si consuma con le stesse modalità (ma si possono mangiare anche le foglie).
Assunto in bassi dosaggi, ha proprietà digestive e leggermente lassative; a dosaggi più elevati espleta una funzione prettamente purgativa ed è quindi importante assumerlo con criterio e in caso di stitichezza.